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Dott.ssa Eleonora Benatti Psicologa

Alienazione Parentale

Si parla di alienazione parentale quando ci si trova in presenza di alcune situazioni concomitanti:

1.   una campagna denigratoria messa in atto da uno dei genitori (detto alienante) nei confronti dell’altro genitore (detto alienato), per mezzo di ripetute svalutazioni e commenti negativi riguardanti quest’ultimo, espressi al figlio;

2.   incapacità o impossibilità, da parte del genitore alienato, di contrastare funzionalmente questa campagna denigratoria messa in atto contro di lui;

3.   progressivo allontanamento, psicologico e materiale, del bambino dal genitore alienato, fino a raggiungere un vero e proprio rifiuto del genitore stesso.

Si assiste a questo fenomeno, in modo particolare, contestualmente a separazioni coniugali molto conflittuali, nelle quali è in gioco la collocazione o l’affidamento dei figli minori.

 

Negli ultimi anni, la concettualizzazione dell’Alienazione Parentale si è andata modificando, spostando l’attenzione dai comportamenti messi in atto dalla diade genitore alienante-figlio nei confronti del genitore alienato, ad un’attenzione allargata anche alle dinamiche triadiche genitore alienante - figlio - genitore alienato, quest’ultimo ritenuto soggetto attivo nell’instaurarsi della dinamica.

 

Può risultare utile ricordare i criteri proposti da Richard Gardner nel 1998 come indicativi, seppur non specifici, di quella che lui ha denominato “Sindrome da Alienazione Parentale o PAS”:

  • il genitore alienante stimola e favorisce in prima persona una campagna denigratoria contro l’altro genitore, rinforzando espressioni diffamatorie da parte del figlio;

  • il rifiuto del figlio nei confronti del genitore alienato viene giustificato con motivazioni labili, superficiali o illogiche (es: “non voglio andare dalla mamma perché mi fa il risotto che non mi piace”);

  • assenza di ambivalenza, da parte del bambino, nel descrivere i genitori, per cui quello alienante è “completamente buono” e quello alienato, per contro, è “completamente cattivo”;

  • il bambino tende ad affermare con eccessiva determinazione di non essere stato condizionato dal genitore alienante, per quanto riguarda la considerazione negativa nei confronti del genitore alienato;

  • il bambino tende ad appoggiare aprioristicamente il genitore alienante e ad osteggiare, con altrettanta sistematicità, l’altro genitore;

  • il bambino appare come privo di sentimenti di colpa nei confronti delle considerazioni di rifiuto e disprezzo verso il genitore alienato;

  • il bambino tende ad esprimere il disprezzo per il genitore rifiutato tramite espressioni verbali riconducibili ad un’altra fonte, il genitore alienante (es: “il papà è cattivo perché non ci passa gli alimenti”);

  • si riscontra la tendenza del minore a rifiutare anche la famiglia allargata del genitore alienato, quindi anche i nonni, eventuali nuovi compagni e amici del genitore rifiutato;

  • il minore tende ad addurre scuse per tentare di evitare i contatti con il genitore rifiutato;

  • durante la frequentazione del genitore rifiutato, il bambino tende a mettere in atto atteggiamenti provocatori, con l’intento di ottenere dal genitore reazioni che ne confermino la negatività;

  • tra il bambino e il genitore alienante si instaura un rapporto di invischiamento ed esclusività;

  • prima della separazione dei genitori, il rapporto tra il bambino e il genitore rifiutato era positivo: appare quindi privo di giustificazione il repentino cambiamento di considerazione del genitore, da parte del figlio.

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